Circolo UAAR di Padova, Unione degli Atei e degli Agnostici Razionalisti, www.uaar.it/padova/

CONTRIBUTI DAI SOCI



Gentile signor Sindaco,

capita abbastanza spesso al sottoscritto, volendosi aggiornare sulle faccende cittadine, di approfittare delle registrazioni delle sedute del consiglio comunale, a disposizione agevole sul portale del Comune. Fruendo così di una fonte diretta, ed evitando il lavoro di interpretazione delle cronache di stampa. Mi è capitato anche in questi giorni, per l'ultima seduta del 28 maggio, soffermandomi in particolare sul punto all'ordine del giorno riguardante la ricorrente ripartizione della quota degli oneri di urbanizzazione secondaria destinata agli edifici di culto.

Premetto che non mi scandalizzo se un'amministrazione pubblica riconosce una qualche dimensione sociale alle confessioni religiose presenti nel territorio, quando esse operano nel rispetto della legge e della convivenza. Piacerebbe magari che le eventuali spese disposte di conseguenza, fossero correlate al contingente e reale stato di cassa dell'ente, senza penalizzare altri ambiti di intervento più opportuni. E che, soprattutto, fossero rapportate a tutti i capitoli che prevedono contribuzioni per i medesimi destinatari.

Sorvolerò sulla presunta inevitabilità delle erogazioni considerate, disposte sì da una legge regionale, la 44/87, ma anche agevolmente evitabili, mi pare, con un minimo di volontà politica (e di coerenza laica), considerato che già la modifica del titolo V della Costituzione ha sancito l’autonomia di entrata e di spesa dei Comuni e la legge di delega sul federalismo fiscale (n. 42 del 5.5.2009), in attuazione dell'art. 119 della Costituzione, ha ribadito tale autonomia. I Comuni hanno la facoltà di stabilire le priorità, privilegiando gli ambiti di intervento che ritengono. In altre parole una legge regionale non può imporre la destinazione di somme derivanti da entrate proprie e non da trasferimenti della Regione. Soprassediamo anche sulla prevedibile, illimitata, straripante apertura di credito nei confronti della CCAR – Chiesa Cattolica Apostolica Romana - grondante dagli interventi dei consiglieri nella seduta (sussidiarietà docet...), e sul rammarico dispensato a piene mani, per un contributo considerato esiguo. Questi 129.099 euro rappresentano sì, causa la flessione del gettito collegato, un importo minore rispetto alle annualità precedenti. Ma contribuiscono comunque a portare il totale degli ultimi dieci anni di questo capitolo a 2.646.542 euro. Una briciola, per le disponibilità del più grande proprietario immobiliare in circolazione, e per le esigenze di manutenzione delle sue proprietà. Che a qualcos'altro avrebbero potuto servire, in tempi di tagli milionari ai bilanci.

Passiamo oltre anche all'avvilente subalternità esibita da chi è attento al galateo dei tagli di nastro ma non trova nulla da ridire sulla duplicazione dei contributi; alla mancanza di emendamenti, neppure sulla linea di quelli da lei sollecitati (non si possono certo mettere in discussione le direttive della Curia...), fino alla totale assenza di voci critiche che richiamassero, terra-terra, ad un più auspicabile utilizzo delle risorse.

Quello che ha fatto trasecolare il sottoscritto signor sindaco, me lo consenta, sono state alcune parole della sua replica che spero ancora di aver mal interpretato. Quando lei illustra le metodologie possibili per dar seguito a questo genere di delibere dà l'idea, se la lingua italiana ha un senso, di indulgere in una visione semplificata della società nella quale, per rimanere al nostro orticello, vivrebbero 214.099 cittadini - il 100% dei residenti lattanti inclusi - di comprovata fede cattolico-romana, depurati da ben identificati quantitativi di adepti di altre fedi.

“Undicimila islamici”, lei dice. Non sono forse, più precisamente, undicimila cittadini provenienti da aree e Paesi a presenza di cultura islamica?

Se vogliamo dare i numeri, caspiterina, perfino la conferenza dei vescovi del Triveneto quantifica in meno del 20% i credenti cattolici “senza riserve” (quelli che utilizzano gli edifici di culto, per intenderci), nel 13% i cittadini liberi da credenze, nel 3% gli altri cristiani, nell'1 gli aderenti ad altre fedi!

Ma soprattutto esistono corpose, approfondite analisi sulla secolarizzazione della società, i cui indicatori mandano in frantumi, oltre che le semplificazioni, pure la cosiddetta sbandierata “rinascita del sacro”. A Padova sono quattro anni ormai, per dirne una, che il numero di matrimoni civili è superiore a quello dei matrimoni religiosi. E sono sempre di più i genitori che sorvolano sulla convenzione di sottoporre i figli al rito iniziatico del battesimo. Qualcosa vorrà pur dire. Maggior prudenza, quindi, sarebbe adeguata per amministratori e funzionari pubblici.

E' possibile mantenere un profilo dialogante, non clientelare, aperto con tutte le componenti sociali, garantendo e difendendo a spada tratta l'esercizio dei diritti individuali ed esigendo in maniera altrettanto intransigente il rispetto delle regole comuni, ma evitando al tempo stesso pericolosi incentivi ai comunitarismi, pietra tombale della convivenza. Cominciando magari da un controllo più rigoroso dei cordoni della borsa.

Marco Ferialdi

Padova 11/06/2012

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Video dell'intervento del sindaco in consiglio comunale

Delibera consiglio comunale del 28/05/12


La pagliuzza e la trave - "La difesa del popolo" 20/05/2012

Gentile direttore, nel suo editoriale "Come spende lo stato" di domenica 6 maggio 2012, lei critica i contributi a pioggia erogati al mondo industriale e le laute consulenze delle pubbliche amministrazioni, mettendo sotto accusa gli sprechi e ponendo la necessità di riforme strutturali che mettano in primo piano la salvaguardia del welfare. Parole sante, verrebbe da dire. Peccato che la sua lunga disamina presenti notevoli amnesie.

Ci riferiamo ai costi che lo stato sostiene per mantenere la chiesa cattolica, in particolare quei 661 milioni di euro di contributi (incostituzionali) alle scuole private cattoliche provenienti dalle casse dello stato e dagli enti locali, i 17 milioni di euro annui per il mantenimento, lo stipendio e le pensioni dei cappellani militari, l’oltre 1 miliardo di gettito irpef proveniente dall’otto per mille di cui oltre il 60 per cento proveniente da scelte "non espresse", i 100 milioni di oneri di urbanizzazione secondaria o per l’edilizia di culto ai quali i comuni “rinunciano” sottraendoli dai loro bilanci, i 35 milioni annui di contributi regionali per lo “stipendio” agli assistenti spirituali negli ospedali pubblici, i 4 milioni per il “consumo idrico” del Vaticano, il miliardo e mezzo per il pagamento degli insegnanti che impartiscono la religione cattolica nelle scuole pubbliche, scelti dai vescovi senza concorso e pagati dallo stato con stipendi più alti degli altri colleghi, finanche le spese per i numerosi viaggi papali (per la recente visita in Toscana, costo complessivo 500 mila euro, la regione ha stanziato 120 mila euro e il comune di Arezzo 90 mila euro, inoltre gli spostamenti con gli elicotteri dell’aeronautica militare sono stati a carico del governo), la lista è oltremodo lunga. Soldi che ricadono su tutti i cittadini credenti, appartenenti ad altre fedi che non hanno alcuna simpatia per la chiesa cattolica e atei-agnostici (i non credenti in Italia sono stimati, per difetto, in dieci milioni di persone). Caro Frezza, non saremo noi a rammentarle il detto evangelico della pagliuzza e della trave.

Unione degli atei e degli agnostici razionalisti - Padova


Ringrazio l’Unione degli atei sia per il lusinghiero giudizio sulle considerazioni espresse nel mio editoriale, sia per l’attenzione che manifestano nei confronti del settimanale diocesano. È difficile in poco spazio prendere in considerazione tutti i rilievi, ma qualche precisazione credo sia d’obbligo.

In particolare, sarebbe ora che si smettesse di utilizzare indebitamente l’espressione "scuole private cattoliche". Non lo diciamo noi, ma la legge 62 del 2000, secondo cui il sistema nazionale di istruzione è costituito dalle scuole statali e dalle scuole paritarie (private e degli enti locali), soggetto "costitutivo" dell’unico sistema nazionale di istruzione ed educazione.

Che i contributi dati a vario titolo a scuole a tutti gli effetti pubbliche siano costituzionali o meno, non sta a me deciderlo. Di certo, dati alla mano, vi posso garantire che le scuole paritarie garantiscono enormi risparmi. Ogni alunno delle scuole statali costa tra i 5.800 euro delle scuole dell’infanzia e i 7.150 dei licei. Moltiplicate questa cifra per le centinaia di migliaia di ragazzi che frequentano le scuole paritarie, e capirete che la loro chiusura si tradurrebbe in una spesa enorme per le casse pubbliche. In Veneto, in particolare, se chiudessero le scuole dell’infanzia nate in ambito parrocchiale, due terzi dei bambini rimarrebbero a casa. Per la felicità degli atei, forse, non certo per quella delle famiglie.

I comuni non incassano oneri di urbanizzazione su chiese e patronati? Ma vi immaginate Padova quale danno economico avrebbe se le chiese non fossero sempre aperte anche per i turisti? Davvero credete si debbano considerare bene privato? E sapete quante assemblee pubbliche e riunioni di condominio si fanno in patronato, vista la cronica mancanza di spazi disponibili?

Quanto ai costi per i viaggi del papa, ricordo solo che cifre simili vengono pagate ogni anno dal comune di Roma per il concerto dei sindacati il primo maggio. E quanto costa il servizio d’ordine negli stadi la domenica? Francamente, mi pare che sia difficile considerare il viaggio di una personalità di rilievo mondiale meno rilevante dell’esibizione dei nostri idoli del pallone o della canzone.

C’è qualcosa da modificare, nelle attuali leggi? Mi pare che la chiesa non si sia tirata mai indietro. Si vedano tante inutili polemiche sull’ici, salvo poi scoprire che la chiesa già la pagava e le fondazioni bancarie no. Alla faccia dei presunti privilegi, mi verrebbe da aggiungere.

Guglielmo Frezza


Considerazioni sulla deliberazione n. 396 del 13/5/2011 dell'Azienda U.L.S.S. n. 16 di Padova.

La delibera di cui si parla è il “Documento di orientamento sul rispetto dei valori, credenze, ritmi e abitudini di vita dei pazienti nelle attività assistenziali dell'Azienda U.L.S.S. 16.”

Tutti gli ospedali della Regione sottostanno alla legge regionale n. 22 del 22 agosto 2002 che, fra l'altro, afferma che “i piani clinico-assistenziali sono formulati nel rispetto dei valori e delle credenze dei pazienti”. Per questo motivo l'Azienda U.L.S.S. di Padova ha prodotto il documento di cui mi occupo.

Premetto che, complessivamente, sono stato piacevolmente sorpreso dalla lettura di questo documento che, oltre alla qualità dei contenuti, si è dimostrato molto attento ai dettagli; infatti ha premesso al documento stesso chiarimenti di primaria importanza relativi all'uso della terminologia adottata, focalizzando prioritariamente il modo d'uso di parole spesso usate in maniera equivoca come “VALORE” e “CREDENZA” e precisando molto correttamente anche concetti importanti come quello di persona, individuo, dignità, identità.

Dopodiché vi vengono citati gli articoli di pertinenza tratti da testi fondamentali di riferimento al rispetto della dignità della persona: la Costituzione italiana, la Convenzione sui diritti dell'uomo e la biomedicina di Oviedo approvata dal Consiglio d'Europa nel 1997 e i codici deontologici di medici ed infermieri.

Dopo queste premesse si arriva alla pubblicazione di quelli che il documento chiama ORIENTAMENTI: 7 punti che riguardano gli ambienti di cura, la riservatezza e la serenità del paziente, la delicatezza del rapporto col medico, la circoncisione per motivi religiosi, la mutilazione sessuale femminile, il diritto al rifiuto delle cure, il rispetto delle abitudini alimentari.

Si tratta a mio parere di un documento che dimostra una sincera attenzione alla qualità della vita del paziente in ambito ospedaliero, facendo chiarezza su punti che erano finora governati soprattutto dalle consuetudini, da abitudini che vanno considerate superate, ma che se non vengono regolate in maniera esplicita, rischiano di mantenersi inopinatamente e di essere applicate in maniera soggettiva e quindi anche impropria.

Detto questo, mi permetto di commentare il documento alla luce della mia posizione di soggetto che ha dovuto, in altre occasioni, sottostare ad atteggiamenti che proprio le consuetudini inveterate hanno radicato nelle istituzioni e nelle persone e che solo con grandi sforzi ed azioni proattive si riesce a scalfire e, col tempo, a modificare nel senso del dovuto rispetto dovuto a chiunque e quindi anche a chi non segue alcuna religione.

Per me che ho sostenuto per anni una battaglia sull'esposizione del crocifisso nelle scuole, assume un particolare significato il primo degli orientamenti proposti dalla mia ULSS, che dice che l'ULSS 16:

1. Per quanto riguarda gli ambienti di cura in relazione ai simboli e alle espressioni di fede, di religione, di opinioni politiche, si attiene ai principi enunciati nei documenti di riferimento e alle norme, direttive e indicazioni nazionali e regionali in materia.

Orbene, mentre l'esposizione del crocifisso nelle aule scolastiche è regolato da circolari fasciste del 1922 e 1924 mai abrogate, non sono a conoscenza di regole o leggi che impongano l'esposizione del crocifisso nelle stanze e nelle corsie degli ospedali. E allora, come interpretare questo punto? Secondo me rifacendosi ai principi enunciati nei documenti di riferimento citati che fra l'altro affermano:

La Repubblica riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell'uomo (art. 2 Cost. it.) Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali. È compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l'eguaglianza dei cittadini. (art. 3 Cost. it.) Tutti hanno diritto di professare liberamente la propria fede religiosa in qualsiasi forma, individuale o associata, di farne propaganda e di esercitarne in privato o in pubblico il culto, purché non si tratti di riti contrari al buon costume. (art. 19 Cost. it.)

Tutti hanno diritto di manifestare liberamente il proprio pensiero con la parola, lo scritto e ogni altro mezzo di diffusione. (art. 21 Cost. it.)

Tutti sono eguali dinanzi alla legge e hanno diritto, senza alcuna discriminazione, ad un'eguale tutela da parte della legge. Tutti hanno diritto ad un'eguale tutela contro ogni discriminazione che violi la presente Dichiarazione come contro qualsiasi incitamento a tale discriminazione. (art. 7 DUDU)

Nessun individuo potrà essere sottoposto ad interferenze arbitrarie nella sua vita privata, nella sua famiglia, nella sua casa, nella sua corrispondenza, nè a lesioni del suo onore e della sua reputazione. Ogni individuo ha diritto ad essere tutelato dalla legge contro tali interferenze o lesioni. (art. 12 DUDU)

Ogni individuo ha il diritto alla libertà di pensiero, coscienza e di religione; tale diritto include la libertà di cambiare religione o credo, e la libertà di manifestare, isolatamente o in comune, sia in pubblico che in privato, la propria religione o il proprio credo nell'insegnamento, nelle pratiche, nel culto e nell'osservanza dei riti. (art. 18 DUDU)

Non saprei come i punti sopra elencati potrebbero considerarsi realizzati se l'ambiente del ricovero ospedaliero esponesse, nelle parti comuni e condivise, il simbolo di una sola religione. E perciò andrebbe considerata legittima la richiesta di rimozione del crocifisso dalla stanza del ricovero, anche in ossequio ai codici deontologici del medico e dell'infermiere quando richiamano il rispetto alla volontà e alla dignità del paziente.

In subordine potrebbe essere richiesto l'affiancamento al crocifisso di un simbolo a piacere del paziente non cattolico. Personalmente amerei affiancargli un'opera d'arte esposta a Parigi, pur temendo di trovare qualche possibile ostacolo nell'interpretazione delle ultime parole dell'art. 19 della costituzione italiana, quelle relative al “buon costume”. Ma tornerò sul punto dei simboli affrontando l'orientamento n. 3.

Interessante ed innovativo ho trovato in particolare il secondo orientamento proposto dalla delibera, che dice che l'ULSS 16:

2. Così come garantisce il diritto alla riservatezza dei dati personali (ad es. acquisendo dal paziente, al momento del ricovero, l'elenco delle persone cui è possibile dare informazioni sulla sua salute), procede a: acquisire, al momento del ricovero, la volontà del paziente di usufruire o meno dell'assistenza religiosa e delle pratiche sacramentali, onde evitare di causare ad esso eventuale disagio nell'esprimere il rifiuto al momento in cui le pratiche stesse gli vengono proposte;

facilitare al paziente il contatto con assistenza religiosa.

L'impressione che ho ricavato dall'esame di questa deliberazione è che la scelta di attuare questo punto delicato, che i non credenti auspicavano da anni, non sia stato dovuto a una particolare sensibilità laica dell'estensore, bensì dalla necessità di adeguarsi alla realtà imposta dall'aumento dei flussi migratori, che hanno portato un aumento di pazienti appartenenti ad altre religioni.

Ma l'importante è che, in un modo o nell'altro un obiettivo sia stato raggiunto: quello di ottenere il rispetto della riservatezza, della dignità e della serenità dei pazienti non credenti, finora impunemente importunati dai cappellani ospedalieri che, pagati col denaro pubblico, svolgono spesso opera di proselitismo, quando addirittura non di sciacallaggio nei confronti di moribondi e loro parenti, indifesi in momenti di grande difficoltà e perciò esposti alle inopportune e fastidiose insistenze di personale religioso la cui presenza può essere molto sgradita quando non addirittura molesta. Credo che chiunque potrebbe ricordare e riportare episodi di questo genere e perciò trovo che non abbia senso esemplificarli qui. Passando al punto successivo, esso afferma:

3. l'ULSS 16 viene incontro alle richieste dei pazienti ispirate da loro credenze o convinzioni quali, ad esempio, quella di essere assistiti, in ambito ginecologico, da personale femminile. Ciò nei limiti della propria flessibilità organizzativa, tenuto conto che le disposizioni costituzionali non prevedono distinzioni di genere nell'accesso alle professioni sanitarie.

Questo terzo orientamento conferma come il documento nasca per soddisfare i bisogni di “altre” religioni più che per rispettare i diritti degli individui in uno stato laico. Tuttavia, volendo portare fino in fondo l'interpretazione di questo punto, vorrei sottolineare che quello riportato, relativo all'assistenza ginecologica, è solo un esempio. Il principio che guida l'orientamento 3 è quello di “andare incontro alle richieste dei pazienti ispirate da loro credenze o convinzioni”. Che cosa impedisce, richiamandosi al punto 1 del documento, di riferirsi anche all'esposizione di simboli religiosi nell'ambiente ospedaliero? La richiesta della loro rimozione non troverebbe neppure le difficoltà che possono derivare dal dover ricercare, come avviene per l'assistenza, personale di un determinato sesso che comporta le prevedibili limitazioni legate alla flessibilità organizzativa di un presidio ospedaliero.

I punti 4 e 5 fanno riferimento alla circoncisione e alla mutilazione genitale femminile; si tratta perciò di pratiche che non coinvolgono (o almeno non dovrebbero coinvolgere) i non credenti. Anche il punto 7, che fa riferimento a diete e abitudini alimentari, ha per noi un interesse relativo.

Il punto 6 invece è estremamente importante, anche in relazione alla legge sul testamento biologico attualmente in discussione al Parlamento, legge che così come è formulata oggi, contraddice la convenzione di Oviedo, la Costituzione italiana, le linee guida delle società scientifiche e la volontà evidenziata dalla maggioranza degli italiani. Insomma una legge che, senza basi scientifiche, popolari o di principi universali, risponde esclusivamente all'esigenza di inginocchiarsi servilmente alla volontà dell'ideologia cattolica.

L'orientamento 6 dice:

6. l'ULSS 16 tutela il diritto al rifiuto delle cure e dei trattamenti sanitari nelle persone coscienti secondo il principio di rispetto della dignità delle persone, che comprende i valori dell'autonomia delle scelte e la libertà personale. Tutela altresì il diritto delle persone non più in grado di decidere, attenendosi al principio contenuto nella Convenzione di Oviedo (articolo 9) secondo cui “i desideri precedentemente espressi a proposito di un intervento medico da parte di un paziente che, al momento dell'intervento non è in grado di esprimere la sua volontà, devono essere tenuti in considerazione”. Il principio etico di autonomia dei pazienti viene esercitato nel contesto dell'alleanza terapeutica che si attua attraverso l'informazione al paziente circa l'efficacia e i rischi delle cure e circa i rischi del loro rifiuto. Il rifiuto da parte del paziente di specifici trattamenti o procedure diagnostiche non comporta l'abbandono del paziente stesso. Il consenso scritto ai trattamenti è richiesto, come normativamente previsto, solo nel caso di somministrazione di emotrasfusioni ed emoderivati e per l'applicazione di protocolli di sperimentazione clinica.

Sembra uno schiaffo alla proposta di legge sul testamento biologico. Anche se la dizione dell'art. 9 della Convenzione di Oviedo può lasciare un margine interpretativo in cui l'ideologia della sofferenza, che i cattolici vorrebbero imporre anche a chi non crede, potrebbe forzatamente cercare di insinuarsi.

Concludendo, mi preme notare però come un documento che possiamo considerare e giudicare complessivamente positivo, presenti due difetti che devo evidenziare.

Il primo consiste nella mancanza di un capitolo importante, la cui assenza mostra come l'affrancamento dalle pressioni lobbistiche che la religione cattolica e i suoi esponenti continuano ad effettuare sulla società civile, sia ancora lontano dall'essere raggiunto.

Mi riferisco a un punto che si occupi di affrontare l'applicazione in ospedale della legge 194, quella che regola l'interruzione volontaria della gravidanza.

Trascuriamo qui considerazioni che esulerebbero dalle competenze di una ULSS, quali quella dell'anacronismo della persistenza della possibilità di dichiararsi obiettori di coscienza verso una legge che ha più di 30 anni, da parte di operatori che nessuno obbliga a scegliere una determinata specializzazione, quella di ginecologo. Ma ricordiamo che cosa diceva il punto 6 del documento:

Il rifiuto da parte del paziente di specifici trattamenti o procedure diagnostiche non comporta l'abbandono del paziente stesso.

Questa frase andrebbe ricordata a tutto quel personale sanitario che, col pretesto dell'obiezione di coscienza, arriva a tenere comportamenti discutibili nei confronti di pazienti ricoverate per interrompere la gravidanza; abbiamo raccolto, non in questa ULSS, testimonianze di casi di comportamento ignobile, che oltre alle difficoltà al ricovero per scarsità di personale non obiettore, mostravano crudeltà verso le famiglie coinvolte. Un'ostetrica che in un caso di interruzione vicino alla 20° settimana afferma: “vi verrà data assistenza ma dovete capire che esistono delle priorità… dovremo privilegiare chi dà la vita… se la sala parto fosse occupata dovrete aspettare… tutto chiaro?” o alla richiesta del padre di accompagnare la moglie: “assolutamente no, in sala parto assolutamente no… ed il bambino non lo potete vedere…”.

Anche altre segnalazioni confermano l'atteggiamento spesso ostile, quando non addirittura riprovevole, tenuto da personale obiettore nei confronti di pazienti che decidono di usufruire della legge 194.

Ci sarebbe piaciuto dunque che, nell'ambito di un documento come quello che abbiamo commentato, e che ricordiamo si intitola “Documento di orientamento sul rispetto dei valori, credenze, ritmi e abitudini di vita dei pazienti nelle attività assistenziali dell'Azienda U.L.S.S. 16.”, ci fosse stato un richiamo al dovere di un'assistenza completa, senza rischio di abbandono e senza possibilità di interferenze religiose, anche verso i pazienti nei confronti dei quali viene sollevata un'obiezione di coscienza.

Ma non è detto che l'ULSS 16 non rimedi a questa mancanza e che, magari sulla spinta di qualche sollecitazione, non integri in tal senso questo documento, che comunque ci auguriamo di vedere diffuso in altre ULSS e in altre realtà, fino a diventare una regola, una linea guida di rispetto dell'individuo e delle sue convinzioni in momenti particolarmente delicati della sua vita.

Il secondo difetto che voglio sottolineare non è intrinseco al documento. Ho voluto infatti verificarne l'applicazione ed ho quindi scritto all'Azienda U.L.S.S. di Padova chiedendo copia della modulistica adottata per applicare questa deliberazione. Ebbene, la risposta è stata:

“in merito all'applicazione della delibera di cui all'oggetto, si comunica che al momento non è stata predisposta alcuna modulistica presso il Presidio Ospedaliero Sant'Antonio.”

Come dire: ma alla fine di che cosa stiamo parlando? Siamo sempre in uno stato a sovranità limitata con una laicità di facciata, ma di fatto clericale.

26/10/2011 - Massimo Albertin

Socio UAAR di Padova, è stato un protagonista del caso Lautsi vs Italy in merito alla presenza dei crocifissi negli edifici pubblici.


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Il dialogo interreligioso nella società contemporanea in un paese plurale

Questo è il titolo di un incontro svoltosi giovedì 30 giugno a Padova nell’ambito di una serie di incontri organizzati da un’associazione culturale chiamata “SalboroIncontra”.

Il volantino di presentazione prevedeva la presenza di: don Giovanni Brusegan, delegato per l’Ecumenismo e il dialogo interreligioso Diocesi di Padova; Adolfo Locci, rabbino capo della Comunità Ebraica di Padova; Ahmed Oufardou, esponente della Comunità Islamica di Padova. Incontro coordinato dal vice-sindaco di Padova Ivo Rossi.

Il mio interesse per questa serata derivava dal fatto che alcuni mesi prima il presidente dell’associazione mi aveva telefonato per chiedermi la disponibilità a partecipare a tale incontro in qualità di ateo membro dell’UAAR, disponibilità che avevo subito dato volentieri; ma dopo alcuni giorni era arrivato il contrordine, in quanto il consiglio associativo aveva respinto la proposta del suo presidente ritenendo evidentemente la presenza di un ateo inopportuna. Ricordo per inciso che si tratta di un’associazione legata alla parrocchia di Salboro e gli incontri si svolgono nel pala-tenda parrocchiale. Incuriosito da questo ripensamento ho voluto ugualmente partecipare alla serata come spettatore e, accompagnato da mio figlio e dal coordinatore del circolo UAAR di Padova, mi sono recato in parrocchia. C’era una discreta partecipazione di pubblico, in maggioranza anziano, ma non si è presentato uno dei tre componenti annunciati, cioè l’esponente della comunità islamica di Padova. La serata è stata quindi introdotta dal vicesindaco Rossi, che ha manifestato il suo pensiero affermando come la paura dell’”altro” sia dovuta alla mancanza di conoscenza, che ci dovrebbe quindi essere interesse nel voler conoscere gli altri, intesi come coloro che non fanno parte della nostra comunità tradizionale, allo scopo di eliminare gli steccati che ci dividono. Il prete delegato della diocesi Brusegan ha sottolineato l’importanza di avere rapporti tra “persone”, elencando una serie di categorie, categorie che andrebbero a suo dire superate per arrivare direttamente alle persone. E ha poi invitato ad evitare divisioni pregiudiziali in modo manicheo. Il rabbino Locci ha parlato della diversità come elemento che viene usato per definire chi è “cittadino” e chi invece non lo è. Nel suo intervento ha anche voluto ricordare chi non ha alcuna fede.

Dopo una serie di interventi a mo’ di botta e risposta fra il rabbino e il prete, con netta prevalenza dell’occupazione del tempo da parte di quest’ultimo, il coordinatore ha concesso la parola al pubblico ed ho quindi chiesto di intervenire. L’ho fatto sottolineando l’atteggiamento contraddittorio dimostrato nell’avere ritirato l’invito agli atei: Rossi parlava di eliminare gli steccati, ma noi siamo stati lasciati al di là dello steccato; il prete chiedeva di privilegiare le persone, ma non citando mai gli atei ha dimostrato di considerarli come “non-persone”. Insomma è stata confermata la distanza tra le affermazioni di principio e la loro applicazione pratica: a parole grandi apertura e tolleranza, nei fatti le solite preclusioni. Ho concluso affermando che l’incontro della serata non sembrava dedicato a un dialogo interreligioso, bensì a uno intrareligioso.

E’ stato notevole l’imbarazzo dimostrato dal moderatore della serata nel cercare di (non) rispondere alle mie osservazioni ed esprimendo scuse che hanno avuto lo stesso livello di credibilità delle affermazioni fatte precedentemente. Ancora più interessante è stata la reazione del prete: dopo essersi rivolto a me con un “lei che si dichiara ateo…” (che reazioni ci sarebbero potute essere se io mi fossi rivolto a lui con un “lei che si dichiara cattolico”?) ha utilizzato per rispondermi la fallacia dialettica dell’uomo di paglia. Ha infatti disegnato una figura di ateo stereotipata definendolo “ottocentesco” e “pre-scientifico”; ha ricordato un incontro televisivo avuto con un esponente UAAR di cui ha riportato affermazioni e atteggiamenti che mi sono apparsi talmente lontani dagli argomenti e dalle affermazioni che noi normalmente utilizziamo, dall’apparirmi palesemente falsi, e su questa figura creata ad hoc per la platea ha riversato il suo atteggiamento critico e denigratorio. Insomma il prete ha confermato, se mai ce ne fosse stato bisogno, quella scorrettezza di comportamento che rende così difficile il dialogo con certi esponenti della Chiesa cattolica. Soprattutto se pensiamo che egli ha approfittato della sua posizione privilegiata, che non mi permetteva di rispondergli adeguatamente, visto il susseguirsi di interventi succedutisi al mio e che avevano portato la discussione su altri piani, in particolare la difficoltà di comprensione e convivenza con gli islamici.

Le mie considerazioni sulla serata sono perciò queste:

• L’assenza non annunciata né giustificata dell’esponente della comunità islamica, che avrebbe potuto e dovuto rispondere a parecchie domande, è apparsa di fatto un segno di chiusura al dialogo;

• L’atteggiamento sottomesso del moderatore della serata, che ha concesso forse l’80% del tempo al prete, non facendo nulla per riequilibrare la sua logorrea, né intervenendo per difendere chi, come me, era stato trattato in maniera quantomeno scortese, mostra la solita sudditanza verso la Chiesa cattolica e i suoi esponenti ed evidenzia quanto si sia ancora lontani dal quel traguardo di apertura, conoscenza, dialogo tra pari che a parole si dice di voler raggiungere;

• L’arroganza dei rappresentanti ufficiali della Chiesa cattolica, che praticamente evitano il confronto, denigrano l’avversario (perché è come tale che l’ateo viene trattato), e spadroneggiano anche nelle poche occasioni offerte per un eventuale dialogo, mostra la distanza che ci separa da una vera uguaglianza nei diritti e nei presupposti di incontro;

• Le religioni con meno potere, soprattutto quando fortemente minoritarie, mostrano un’apertura e una volontà di dialogo ben diversi da quella dei cattolici. Rimanendo a questo evento, alla netta affermazione del rabbino: “l’Italia non è certamente uno Stato laico” nessuna reazione è venuta dagli interlocutori, con l’assordante silenzio in particolare del rappresentante dell’Istituzione civile.

Concludo pensando come questo piccolo episodio si inserisca in uno stile generale che si ritrova in questa Italia colonizzata dal potere della lobby cattolica; mi riferisco ad esempio al cosiddetto “Cortile dei gentili” istituita dal cardinale Ravasi per l’incontro e il dialogo con altre religioni e con i non credenti, ma a cui gli atei dell’UAAR non sono stati ammessi, scegliendo solo interlocutori accondiscendenti e di comodo.

In pratica loro scrivono “dialogo interreligioso” ma vi si leggono più facilmente intolleranza e prevaricazione. La Chiesa cattolica, che spesso usa l’accusa di “positivismo ateo ottocentesco” verso gli atei, non ha per nulla modificato la sua posizione, che è ben più vecchia ed arretrata di quella degli atei. Ed il restyling cui si vede costretta dalle mutazioni sociali in atto può condurci, invece che allo sviluppo ordinato e laico di una società plurale, alla prospettiva negativa di un multiconfessionalismo, pietra tombale dei diritti civili degli individui.

07/07/2011 - Massimo Albertin

Socio UAAR di Padova, è stato un protagonista del caso Lautsi vs Italy in merito alla presenza dei crocifissi negli edifici pubblici.


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Regalare la Bibbia agli studenti non è assolutamente un gesto laico

Bentornata Bibbia? Sarebbe d’obbligo almeno un punto di domanda ad un titolo così assertivo (Mattino del 29 dicembre). Ma quando mai c’è stato, il Libro Sacro, a sud delle Alpi, per potervi «tornare»? In Italia fu stampato solo in latino, e solo dopo la Controriforma, in versione ufficiale, e non certo destinato al popolo. Mai tradotta liberamente, la Bibbia, come nel mondo protestante (che ne distrusse la sacralità), e mai raccomandata fino al XXº secolo. Storicamente assodato è il fatto che - nel mondo cattolico - le Scritture, intese come Antico Testamento, sono state sempre totalmente assenti: citatissime dai pulpiti e nelle arti, è vero, ma mai lette senza l’indispensabile mediazione del clero. Causa non ultima, oggi come in passato: il tenace analfabetismo delle masse. Altrettanto avviene a livello planetario: il Libro dei libri per antonomasia gode da sempre fama (usurpata) di essere il più diffuso, e di essere tradotto (d’ufficio) in tutte le lingue del mondo: ma chi crede davvero che sia anche il più letto? Sicuramente lo è di più il Corano, data anche la sua obbligatorietà per l’alfabetizzazione elementare nelle madrasse islamiche. Agli zelatori più o meno istituzionali della Bibbia, che adesso la Regione Veneto vuole addirittura «regalare» agli scolari, sta tanto a cuore di alimentare così il confessionalismo cattolico? Forse è proprio questo che vogliono. Qui c’entra poco la cultura. A parte che i regali non sono mai tanto apprezzati (finendo spesso nel cestino), come è possibile affermare che questa elargizione sia un «atto laico»? Ma sì, altrettanto è avvenuto coi crocifissi ridotti a legnetti, regalati di recente agli alunni da sindaci e assessori in cerca di pubblicità. Sempre più governanti arrivano a sostenere - in maniera paradossale, esplicitamente provocatoria - che la croce stessa sia simbolo di laicità! Di quella sana, manco a dirlo. Così si ripeteranno all’infinito cose assurde, fino a farle diventare senso comune: come l’acqua che brucia e il fuoco che bagna. Dove finirà il buon senso?

Lettera firmata pubblicata a pag. 14 su il mattino di Padova del 04/01/2011




L'ultimo numero di MicroMega, 8/2010, in questi giorni in edicola, nella rubrica Iceberg titola La Chiesa e Mammona, dedicando tre saggi all'argomento, il primo in chiave politica, il secondo che privilegia l'aspetto sociologico, il terzo sviluppa un'analisi storico-filologica.

Ne 'La Chiesa e Berlusconi: scacco al Vangelo in 3 mosse', Valerio Gigante affronta l'apparente discrasia tra gli attacchi al Cavaliere di Famiglia Cristiana, Avvenire e di taluni esponenti della gerarchia ecclesiastica ai massimi livelli come il card. Angelo Bagnasco – che in verità in queste ultime ore sembra rientrato nei ranghi – e le posizioni più benevole di alti prelati vaticani come il card. Bertone, per non dire dello stesso papa Ratzinger, e di mons. Fisichella – quello delle 'contestualizzazioni' -. Viene ripercorsa la vicenda di Dino Boffo, direttore di Avvenire, fatto oggetto di una campagna di fango e costretto alle dimissioni colpevole solo di avere scritto qualche articolo contro il governo, non adeguatamente difeso da quella gerarchia che poco e nulla ha detto riguardo gli imbarazzanti scandali del Premier.

Secondo Gigante, nonostante una maggioranza silenziosa dell'episcopato italiano vorrebbe liberarsi di un personaggio tanto ingombrante, a prevalere è la linea della Segreteria di Stato vaticana che continua a sostenere il vecchio leader Pdl, a dispetto della grave crisi di credibilità, suggellata da incontri privati e cene e dalla mancata 'benedizione' allo strappo di Fini. Questa scelta è necessitata dalla ricerca di nuovi equilibri nelle relazioni finanziarie ed imprenditoriali 'che lo spoils system ratzingeriano ha progressivamente modificato'. La scelta strategica delle gerarchie ecclesiastiche è figlia di quell'antropologia concordataria secondo la quale, merita sostegno chiunque garantisca prebende e privilegi alla Chiesa; come ai tempi del fascismo.

Ne 'La Chiesa settaria', Marco Marzano partendo da un suo personale studio statistico, fotografa la crescente secolarizzazione della società italiana e il declino irreversibile della pratica religiosa e del clero in servizio “costretto ad una vita affettiva clandestina e solitaria, sovraccaricato di funzioni, mal pagato, ignorato dai vertici, impossibilitato a fare autentica evangelizzazione, costretto a difendere tutte le evoluzioni della gerarchia nel campo della morale e dell'etica”. Di fronte a questa crisi, che è anche vocazionale – le cose non vanno meglio per i religiosi – le gerarchie cattoliche si affidano da una parte ad un interventismo esasperato – papismo autoritario e mediatico lo chiama Marzano – e dall'altro alla proliferazione settaria dei movimenti ecclesiali, atipici rispetto alla tradizione parrocchiale ma integralisti e spesso incapaci di qualsiasi espressione critica nei confronti di papa e vescovi, quindi utilissimi alla conservazione dello status quo e congeniali a riempire le piazze per quel media effect che cerca di nascondere la crisi del sacro.

L'ultimo pezzo 'Cristo, cristiani e poveri cristi', di Fabrizio Tassi, prova “a dire che Cristo andrebbe liberato dal cristianesimo” ed immagina che il Gesù storico, quel Yehoshua ben Yosef, profeta sovversivo che, come vuole Voltaire, non disse mai di essere nato da una vergine, non voleva essere figlio di Dio, né tantomeno istituire alcuna gerarchia ecclesiastica, avrebbe ripudiato tutti i suoi sedicenti seguaci i quali hanno consentito che il cristianesimo si convertisse a Costantino e non viceversa. Scrive causticamente Tassi: “Certo, si può sempre pensare che il fine giustifichi i mezzi e che la Provvidenza scelga strade tortuose, a volte ironiche e altre tragiche, per far vincere la verità, in una storia in cui convivono il sanguinario imperatore Costantino e le isole Cayman, il ministro Giovanardi e i massacri degli indios”.

20/12/2010 - Stefano Marullo




Negazionismi e libertà di espressione

Il recente caso del professore dell’Università di Teramo definito “negazionista” dalla grande stampa ha rinfocolato la discussione sulla necessità di considerare reato la messa in dubbio della Shoah. In Francia una proposta di legge intende punire con il carcere chiunque neghi il genocidio degli armeni. Stupisce che un dibattito del genere trovi un fronte trasversale ai tradizionali schieramenti politici, allineato su posizioni punitive e sanzionatorie in stridente contrasto con l’art. 21 della Costituzione Italiana sulla libertà di parola. E forzato appare il rimando alla legge 205/93 (c.d. Legge Mancino) sull’istigazione all’odio razziale attraverso le parole, perchè allora bisognerebbe denunciare ogni giorno giornali, politici, talk show.

Andrebbe precisato come gli storici non mettano sullo stesso piano termini quali “negazionismo” e “revisionismo”, riconoscendo alla prima espressione un significato peggiorativo fortemente inficiato da ideologia e, alla seconda, un reale valore storiografico. In una prospettiva laica l’interpretazione della storia, vicenda meramente umana di miseria e nobiltà, dovrebbe essere “aperta” senza timore di apparire eretici. I dogmi, anche quelli storiografici, non aiutano la ricerca e tendono a stendere un velo di sacralità e di necessità escatologica allo svolgersi degli eventi.

Evidentemente non tutti i revisionismi hanno il rigore scientifico degli storici degli Annales; la visibilità mediatica di taluni giornalisti tende ad accreditare come veri e propri “scoop” tesi storicamente fragili che però fanno vendere libri. Lampante, in questo senso, la deformazione storica di certe uscite di papa Ratzinger: l’equiparazione, fatta in un recente viaggio, tra nazismo e ateismo la dice lunga sul pericolo della disinformazione e della difficoltà di rimuovere la tendenza, nell’epoca della mercificazione delle parole, a rendere vaste platee dei fast thinkers, per dirla con Pierre Bourdieu, incapaci di decodificazione critica rispetto ai messaggi percepiti.

Ma storture, forzature e, finanche, farneticazioni più o meno dolose, non si combattono con la galera ma con le argomentazioni. Chi propugna sciocchezze ha un onere della prova non indifferente. Il rischio vero è invece quello di imbavagliare ricerche non allineate, studi eterodossi e controtendenze edificanti contro unanimismi funzionali e plebisciti di comodo. Autori e ricercatori atei, negazionisti per antonomasia, sarebbero i primi bersagli.

Prendiamo il “caso” Gesù. Da oltre duecento anni a questa parte, partendo da Dupuis fino a Deschner, a essere messa in discussione, più che la sua divinità (per la cui definizione la chiesa antica ci ha messo 300 anni, è bene ricordarlo), è la sua reale esistenza storica, basandosi essenzialmente sulla ricerca e la critica delle fonti che confortano l’assunto circa la sua improbabilità, provando manipolazioni, distruzioni di libri avversi la tesi dominante, incomprensibili silenzi dei contemporanei, sorprendenti analogie con miti più antichi. Potremmo a buon diritto parlare di revisionismo storico, a fronte del pensiero unico che per 1700 anni ha fatto passare i Vangeli come opere storiche e messo in quarantena le poche coraggiose voci dissonanti. Lo stesso succitato Benedetto XVI, nel suo libro Gesù di Nazareth, presenta il Gesù dei Vangeli come autentico Gesù storico, confondendo desiderio e realtà, storia e credenza.

Nessuno si sognerebbe di sostenere che il papa sta vilipendendo la storia; semplicemente si può, testi e valutazioni storiografiche alla mano, dire che le prove che ne suffragano le convinzioni sono assai deboli e destituite da ogni pretesa epistemologica.

Non serve invocare leggi liberticide ma piuttosto le pari opportunità mediatiche, spazi culturali più vasti e plurali, la possibilità di garantire sempre il confronto onesto e democratico, e una maggiore prudenza nell’improvvisarsi specialisti in ogni settore dello scibile umano laddove si ha la ventura di rappresentare l’altrui pensiero in nome di un potere delegato.

13/10/2010 - Stefano Marullo




Alla replica da parte di un lettore, pubblicata dal Mattino il 16 marzo 2010, dal titolo:

Ognuno ha il diritto di scegliere in cosa credere


così abbiamo controreplicato (lettera inviata al Mattino e a oggi non ancora pubblicata):

Coazione a credere (e libertà di non credere)

Gentile direttore, che ognuno abbia il “diritto di scegliere in cosa credere”, come afferma il lettore Luciano Manià nel Mattino del 16 marzo, poteva sembrare un titolo redazionale. Invece sintetizza bene la convinzione del replicante nel suo attacco all’Uaar.
Giustissimo, ma è pure un'ovvietà, per l'appunto: un'asserzione che nessuno si sogna di contestare. I non credenti, che non sono una setta e pertanto non fanno proselitismo di nessun tipo, ne sono talmente persuasi, che tale diritto/dovere vorrebbero applicarlo soprattutto nel preservare bimbetti e fanciulli dall’obbligo automatico (ora anche prescolastico) di subire le credenze imposte da genitori pigri e ossequenti alle idee ricevute. In ogni caso, va comunque da sé che, in fatto di educazione religiosa, non si tratta affatto di “scegliere”, bensì di nascere e crescere e formarsi in un determinato ambiente geopolitico. Non si può scegliere di credere, ovviamente, come nessuno si sceglie il nome, la data o il luogo di nascita: in Italia, oramai, l’indottrinamento/imprinting infantile comincia addirittura negli asili, suppergiù come avviene nelle scuole coraniche. E le conseguenze, sul sentire comune, si notano ormai su vasta scala.
No, non ce la prendiamo affatto con la patavina “Esposizione del Corpo del Santo”, rigorosamente maiuscola. Altrettanto non ce la prenderemo con l’imminente ennesima Ostensione del Corpo/sudario del Principale, in preparazione a Torino… Per la semplice ragione che noi atei e/o agnostici siamo, di massima, studiosi appassionati di questi fenomeni mediatici e superstiziosi che, persino per i cattolici consapevoli (connotati come “adulti”), rientrano notoriamente negli statuti dell’arcaica devozione popolare, sempre vincente attraverso i secoli: pratiche diffusissime da millenni, ben prima della venuta di Gesù. E li chiamavano pagani! Umano, troppo umano: richiede comprensione, e un pizzico di compassione. Eppure noi esercitiamo una critica puntuale, questo sì, allo sfruttamento che di siffatti eventi folkloristici fanno le gerarchie, abusando in maniera invereconda della creduloneria delle masse: storia vecchia quanto l’evoluzione dell’homo sapiens. E dunque, chi e perché dovrebbe offendersi di questo storico patrimonio di conoscenza?
Tirare in ballo la settecentesca “Dea Ragione” e i suoi misfatti storici, di cui gli atei sarebbero seguaci ed epigoni, asserire che noi offendiamo la Scienza in quanto le togliamo l’alimento del dubbio (ma, in buona fede, si può affermare questo proprio della scienza?), vuol dire ignorare che lo scetticismo e il sapere scientifico hanno “radici” ben più antiche del Cristianesimo, che fin dal principio fu ispiratore e fomentatore più di dogmatismo e di intolleranza che di tanti decantati ideali. Tutt’al più i miscredenti - naturalisti, relativisti e scettici per natura - potrebbero essere tacciati di “scientismo”, è vero; ma noi, come per il laicismo così vituperato, non ci vediamo nulla di offensivo. Quello che aborriamo e fa paura è l’ignoranza ovvero l’analfabetismo scientifico che, paradossalmente, aumenta vieppiù proprio in questa èra dell’informazione.
A proposito di radici (cristiane, manco a dirlo) se lo chiedono, i fideisti, perché mezza Italia le vorrebbe scritte nero su bianco nella Costituzione? Ci si domanda perché mai l’inserimento di quelle radici stia a cuore, ufficialmente, a quattro Stati soltanto dell’Unione Europea? Ci sono le ragioni, ci sono eccome! Basta solo indagare un po’ senza paraocchi (ma non certo nei libri di storia in uso nelle scuole): provare per…credere!
Un cenno al motto, tutt’altro che nobile, stampato sulla moneta USA. Che brutta reminiscenza! Rammenta troppo, ahinoi, quello inciso sui cinturoni nazisti “Gott mit uns!” (Dio è con noi). No comment.
Per concludere, trattandosi qui di razionalità, è quasi obbligo di cortesia contraccambiare e “regalare” ad ogni defensor fidei, come ha fatto il signor Manià, un’eloquente terzina dantesca (fors’anche due), da mettere non su una targa, ma da imprimere nella mente:

“Siate, Cristiani, a muovervi più gravi:
non siate come penna ad ogni vento,
e non crediate ch’ogni acqua vi lavi.”
(Par., V, 73-75)
oppure, se più piace,:
“Sì che le pecorelle, che non sanno,
tornan dal pasco pasciute di vento,
e non le scusa non veder lor danno.”
(Par. XXIX, 196-198)



A proposito di ostensioni e reliquie.

24/02/2010 - L’ostensione dello scheletro di Fernando di Buglione (S. Antonio), che ha portato alla ribalta la nostra città in questi giorni, con il consueto impiego di forze dell’ordine e protezione civile e l’arrivo di migliaia di pellegrini, ci lascia certo stupefatti ma non ammirati, come spesso capita quando ci si applica a riflettere sulle faccende umane. Ci soffermiamo sull’aspetto eminentemente religioso tralasciando quello strettamente legato al bilancio finanziario, per il quale la blindatura di una vasta area del centro città e l'amplificazione mediatica, trovano adeguata giustificazione in tempi di crisi economica (e la kermesse sacro-liturgica non è dissimile dal megaconcerto, da un evento sportivo o magari, ci augureremmo, da un festival della Scienza che Padova meriterebbe).

Tra le pratiche di devozione religiosa, quella del culto delle reliquie nel mondo cattolico appare davvero una delle più anacronistiche. A volerne reperire le fonti non sembra ci sia alcuna traccia di esso nell’Antico Testamento, che invece usa parole forti contro l’idolatria e la fabbricazione di oggetti da offrire al culto. Quanto al Nuovo Testamento, gli Atti degli Apostoli condannano con molta fermezza ogni pratica simoniaca e qualsiasi tentativo di lucro sul sacro. Ma già nel II secolo si cominciano a venerare con grande zelo oggetti e parti anatomiche riconducibili a santi e martiri. Un caso per tutti: di Giovanni Battista sarebbero disponibili all'adorazione, in diversi santuari, un dito, due denti, un braccio, un mento, altre ossa, una ciocca di capelli, diverse porzioni di cenere, e due teste...

Mai dimenticare che durante il Medioevo la proprietà di reliquie dei vari dottori della chiesa da parte di monasteri e città garantiva grande prestigio e introiti di danaro legati proprio ai pellegrinaggi. E non si andava certo per il sottile, innescando lotte fratricide tra diversi ordini monastici che se ne contendevano il controllo. Non è difficile capire come si siano così moltiplicati sindoni e sudari, chiodi e mantelli, ampolle e cintole, fino a qualsiasi componente dell'anatomia umana, fino al latte della Madonna, fino alle piume degli arcangeli o allo sterco dell'asino che Gesù avrebbe cavalcato. Tanta attenzione verso oggetti irrimediabilmente equivoci e macabri ci pare riveli un culto profondamente materialistico che si innesta sulla fede come un corpo estraneo: “Si crede perché si crede” affermano i seguaci degli altri monoteismi, come d'altronde molti all'interno dello stesso cristianesimo.

Se Tertulliano poteva dire con orgoglio “Credo quia absurdum est”, a noi pare lecito nutrire qualche dubbio rispetto alla demarcazione netta tra pratiche devozionali tollerate e incoraggiate dalle autorità ecclesiastiche e la vera e propria superstizione.


il mattino

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Lettera dalla stampa locale

Nelle vicende che girano attorno al decreto 133 (cosiddetto “Gelmini”) riguardante scuola e formazione, in pratica l'unanimità degli osservatori concorda sulla necessità di arrivare quanto prima ad una razionalizzazione delle spese e quindi ad un miglior utilizzo delle risorse pubbliche. E' curioso osservare che, a parte qualche giornalista, e qualche forza politica o sindacato minoritari, nessuno si soffermi sugli sprechi originati dalla presenza del confessionalismo nel sistema scolastico nostrano. Non ci sono solo i 500 milioni di euro annui di contributi statali alle scuole paritarie (e quelli incalcolabili da Comuni, Province e Regioni). Su 8 miliardi di tagli e 130 mila esuberi dichiarati, non un euro o un posto riguarda l'insegnamento di una materia facoltativa (superflua e discriminatoria**) come “Religione cattolica”. Un approccio un po' più pragmatico e meno ideologico della questione porterebbe qualsiasi governo ad una riflessione su quel miliardo di euro l'anno buttati tra stipendi e spese indotte. Senza contare il fatto che quei 26 mila dipendenti privati entrati (miracolosamente) negli organici dello Stato, e sul cui meccanismo di reclutamento anche l'Unione Europea ha chiesto chiarimenti, sono gli unici a poter fare lezione davanti a classi composte anche da un solo studente, perchè per loro l'accorpamento è, nei fatti, vietato. Ma il ministro si affretta a precisare che in quella direzione nulla verrà toccato (trasmissione televisiva “Porta a Porta” - settembre 2008). E per quale motivo, di grazia?

05/10/2008 - Bruno M.




Il Comitato sui diritti dell'infanzia UNICEF, nelle Osservazioni 2003 rivolte all'Italia rileva:

Il Comitato esprime preoccupazione relativamente al fatto che, come indicato nel rapporto dello Stato parte, i bambini, soprattutto nelle scuole elementari, possano essere emarginati se si astengono dall’insegnamento religioso, incentrato essenzialmente sulla confessione cattolica....




Lettera pubblicata da quotidiani locali sull’insegnamento della religione cattolica (IRC)

Leggo su “La Difesa del Popolo” del 16.01.06 la contrazione di adesioni da parte delle famiglie padovane nella frequenza delle ore di religione cattolica. Egli intende ribadire la validità di quella proposta anche per “chi muove da altre sponde ideali e religiose, di credenza o di non credenza”, non avendo l’obiettivo di convertire chicchessia.

La cosa risulta apprezzabile, ma forse solo per chi non ha letto i testi delle intese sottoscritte, ultime quelle tra ministro Moratti e card. Ruini il 23.10.2003 e il 26.05.2004 per la scuola dell’infanzia, primaria e secondaria di primo grado, nelle quali si fissano gli obiettivi specifici di apprendimento, e che connotano l’i.r.c. come un continuum col corso di catechismo parrocchiale.

Comunque stia tranquillo, monsignore: le ore di i.r.c. non cadranno nell’oblio come lei teme, paventando persino in conseguenza a ciò “la fine della nostra civiltà”. Almeno fintantoché il conformismo diffuso che ne garantisce una seppur poco convinta adesione, è supportato dalle scelte di un mondo politico così permeabile alle richieste di privilegi che dalla sua parte provengono.

E dei quali proprio le intese citate e le recenti assunzioni di 15.366 nuovi docenti di religione cattolica sono esempi illuminanti.

18.01.06 - Marco Ferialdi